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In questi giorni abbiamo letto diversi commenti riguardanti SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, la serie televisiva che racconta la storia della comunità di recupero di San Patrignano, fondata nel 1978 a Coriano da Vincenzo Muccioli. La docu-serie ha suscitato un interessante dibattito, per contribuire abbiamo chiesto ad Anna Polgatti, educatrice della Comunità Casa del Giovane di Pavia dove coordina una comunità per adolescenti con problemi sociali e di dipendenza, e amica di Casa Memoria, di raccontare la sua esperienza per far conoscere realtà differenti. Viviamo anni in cui la droga non fa più notizia, Anna ci racconta quanto il fenomeno sia attuale ed emergenziale e riguardi tanti giovanissimi.

 

Più di cinquant’anni fa un sacerdote pavese, d. Enzo Boschetti, sceglieva di dedicare la sua vita all’accoglienza dei più fragili, senza fissa dimora, immigrati, persone abbandonate dai più tra cui i primi tossicodipendenti a cui la sera di nascosto apriva la porta dei locali dell’oratorio per offrir loro un posto dove dormire. Un’accoglienza nata lontano da logiche di potere e guadagno, semplicemente con una forte fiducia incondizionata nell’Uomo e nel potere curante e riabilitativo di una proposta di vita differente.

Erano tempi in cui lo Stato assente non si interessava di quella che sarebbe negli anni diventata una piaga sociale, utile per estemporanee campagne elettorali e troppo spesso per chi ricercava facili consensi sulle spalle di persone disperate. Tempi in cui sono nate differenti risposte che miravano agli stessi obiettivi, ma che hanno avuto filosofie di intervento, metodi e parabole storiche differenti, rischiando di far diventare la presa in carico della dipendenza in certi casi una mera azione di contenimento e in altri di riduzione del danno.

‘Liberare la libertà’ è la risposta che ancora oggi cerca di offrire la comunità ‘Casa del Giovane’ di Pavia, consapevoli che la lotta alla dipendenza va costruita a partire dalla libertà del singolo, attraverso la proposta di un progetto non meramente assistenziale, ma promozionale che miri al recupero di una vita equilibrata e dignitosa per tutti.

In questo periodo storico la droga non fa più notizia, non è un business appetibile né uno sponsor interessante per i politici. Eppure i boschetti dello spaccio sono sempre più brulicanti di giovanissimi, c’è un ritorno prepotente dell’eroina (ma se n’è mai andata?) ed una sempre crescente quanto drammatica normalizzazione dell’uso.

Spesso il ritornello comune è ‘se la sono cercata’, senza contare quanto abbiamo tolto a questi ragazzi ancora prima che nascessero, con l’offerta di una vita passiva in cui sopravvivere e galleggiare diventa l’unico obiettivo.

Manca la proposta di situazioni forti, di un impegno civile, sociale, etico che possa veramente far sentire protagonisti di un cammino collettivo, sostenuto da testimoni credibili e coinvolgenti, portatori di forti valori universali. Quella progettualità condivisa che può dare le risposte che troppo spesso oggi tanti giovani ricercano nell’isolamento del mondo ovattato e lacerante delle sostanze, dove ogni emozione è spenta, ogni slancio vitale cancellato, ogni relazione annullata, ogni progettualità futura inesistente.

È un ambito delicato in cui non ci si può non compromettere: l’accoglienza della sofferenza richiede una consapevolezza grande, una preparazione umana e professionale, che implica il desiderio di andare incontro al disagio senza rinchiudersi in comodi e facili schemi mentali, in progettifici fini a se stessi e in risposte stereotipate.

Il forte dibattito sollevato in questi giorni può diventare trampolino importante di revisione di un sistema di cura, in cui la dipendenza fatica a trovare spazio e comprensione, in cui troppo spesso si delega all’improvvisazione e ai buoni sentimenti, ma davanti alla disperazione della gente non ci si può permettere leggerezza.

Il bene va fatto bene, oltre i personalismi e le ricerche di incenso individuale, oltre le logiche di potere e di guadagni economici. È ora di ricominciare a mettere al centro l’uomo con le sue fragilità, ma soprattutto con le sue risorse. La prevenzione è oggi la miglior cura, dobbiamo ricominciare a valorizzare i territori e spingere i singoli cittadini a prendersene cura, sviluppando una nuova coscienza civica di impegno e azione concreta, lontana dal lamentismo imperante, permeata di desiderio di cambiamento.

Anna Polgatti

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Foto archivio di Anna Polgatti