Articolo tratto dal sito: ResaPubblica
Il clientelismo è stato accettato e avallato anche dalle associazioni antimafia. Umberto Santino analizza il caso Helg e il comportamento delle associazioni antimafia. “Don Ciotti ha grandi capacità organizzative, il suo impegno è generosissimo ma la gestione di Libera è di tipo leaderistico-carismatico. La nostra richiesta di democrazia interna è stata pagata con la sospensione
Di Roberto Conigliaro
Da quando e da chi Roberto Helg era stato arruolato sul fronte dell’antimafia? E qual è il suo giudizio sulla vicenda di Roberto Helg? Fino a che punto in questa vicenda c’entra la mafia e l’antimafia? Sono le domande che arrovellano il dibattito sulla vicenda di Roberto Helg, campione dell’antimafia, arrestato per estorsione aggravata, al centro di un’inchiesta che si allarga, sospettato di essere parte di un triumvirato che si spartiva le tangenti alla Gesap.
Sono domande cui abbiamo chiesto una risposta ad Umberto Santino, autore di innumerevoli pubblicazioni sulla mafia e l’antimafia e Presidente del CSD, Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” – Onlus, fondato nel 1977.
“Il nome di Roberto Helg – dice Umberto Santino – figurava nel libro-mastro della famiglia mafiosa dei Madonia scoperto nel 1989, con l’elenco dei commercianti che pagavano il pizzo. Le sue dichiarazioni antimafia datano dal 2008. Negli ultimi anni la Camera di commercio di Palermo da lui diretta ha istituito uno sportello della legalità, per la prevenzione dell’usura e dell’estorsione, in collaborazione con la prefettura di Palermo; promosso convegni e codici di autoregolamentazione, sostenuto iniziative come il Premio Libero Grassi.
Helg è passato con disinvoltura dall’amicizia con personaggi legati a Berlusconi, all’appoggio ad altri di diverso colore che sono oggi al potere. Capisco che la sedicente sinistra attuale sta portando a compimento programmi, come l’eliminazione dei diritti dei lavoratori, che sono della destra e che la destra non sarebbe riuscita a realizzare, ma in ogni caso queste transumanze sono sospette: mostrano una volontà di mantenere saldi agganci con il sistema di potere.
L’antimafia attuale rispecchia la società in cui si sviluppa, in cui la comunicazione spesso si identifica con lo spot, l’evento prevale sull’impegno quotidiano, a quello che si dice spesso non corrisponde quello che si fa e hanno libera circolazione uomini per tutte le stagioni”.
D – Nei decenni scorsi a Palermo e in Sicilia era nato un fronte antimafia che partiva dalla società civile, il movimento delle lenzuola, alcuni movimenti politici di rilevanza cittadina, cosa è rimasto di quel fronte che aveva rimesso in discussione tutto l’agire politico dei decenni precedenti?
“Nel mio libro Storia del movimento antimafia e sinteticamente nella “Breve storia delle mafia e dell’antimafia”, ho ricostruito le lotte sociali contro la mafia, dal movimento contadino della fine dell’Ottocento ai nostri giorni. Prima la lotta alla mafia coincideva con la lotta di classe, aveva cioè forti connotazioni sociali, non si esprimeva con qualche manifestazione dopo un omicidio di mafia ma era parte di un programma politico e di un progetto di mutamento sociale. Fino a oggi resta l’esempio più significativo di lotta contro la mafia, con un grande costo di sangue. Negli ultimi decenni l’azione antimafia ha visto al centro associazioni, centri, comitati, espressioni dell’impegno della cosiddetta società civile. Nelle mie pubblicazioni ho puntato l’attenzione soprattutto sulle iniziative che hanno avuto e hanno una certa continuità. Molte iniziative, come lo stesso comitato dei lenzuoli, sono delle meteore, compaiono e scompaiono in breve tempo. Hanno avuto una certa continuità le iniziative nelle scuole, l’antiracket, l’uso sociale dei beni confiscati.
Questa attività sono in piedi anche oggi, con i limiti che ho più volte rilevato. Nelle scuole si parla troppo spesso di una legalità astratta e formale e troppe volte ci si contenta di iniziative sporadiche, come un incontro con un familiare di vittima di mafia o con un magistrato, mentre bisognerebbe inserire le tematiche riguardanti la mafia e l’antimafia nei programmi.
L’antiracket è presente solo nell’Italia meridionale, mentre estorsioni e usura sono presenti ormai su tutto il territorio nazionale. L’uso sociale dei beni confiscati deve fare i conti con tempi di assegnazione troppo lunghi e gestioni monopolizzate da professionisti o associazioni che si sono imposte per il credito di cui godono sul piano mediatico e per i loro rapporti all’interno delle istituzioni. In Sicilia associazioni, fondazioni, centri studio godono di finanziamenti pubblici ottenuti con metodi personalistici e clientelari. La proposta del Centro Impastato di una legge che fissi dei criteri oggettivi per assegnare i fondi pubblici non è stata accolta, perché è stata isolata. Invece che mettere in discussione l’agire politico, il clientelismo è stato accettato e avallato anche dalle associazioni antimafia.”
D – L’antimafia è qualcosa che deve essere prerogativa della società civile oppure quando permea la politica finisce comunque con il contaminarsi con la mafia affaristica o con un certo modo affaristico di fare politica?
“Parlavo prima dei finanziamenti pubblici ottenuti da associazioni che si proclamano antimafia e della gestione monopolistica dei beni confiscati, affidati a studi di professionisti al solo scopo di liquidare, per esempio, le imprese confiscate alla mafia. Qui c’è da fare una riflessione: le imprese mafiose reggono per la capacità intimidatoria del soggetto mafioso, per le violazioni della legge e per la facilità nell’approvvigionamento di capitali di illecita provenienza. Cancellate queste caratteristiche, le imprese non reggono anche con il manager più capace. Possono salvarsi solo se diventano imprese sociali, ma ciò viene escluso dall’idolatria del mercato e dalla condivisione del neoliberismo come pensiero unico. In ogni caso il rapporto delle associazioni antimafia con le istituzioni e l’appiattimento su di esse, si paga non solo con la dipendenza ma anche con la condivisione di pratiche che possono essere illegali o al limite della legalità.”
D – Persino nel linguaggio di esponenti dell’antimafia civile come Don Ciotti, ci sono state contaminazioni inverse. Dal palco di un convegno ha parlato di grosse sorprese che dovrebbero saltar fuori prossimamente, senza specificare quali. Quasi un monito nei confronti del resto dell’antimafia. Com’è possibile che persino un prete veneto si sia, almeno nel linguaggio, contaminato con un certo modo di essere tipicamente omertoso?
“Sarebbe meglio tacere invece di lanciare messaggi generici. Don Ciotti ha grandi capacità organizzative, il suo impegno è generosissimo ma la gestione di Libera è di tipo leaderistico-carismatico. Io e il Centro Impastato siamo stati per alcuni anni in Libera e abbiamo visto che la democrazia interna è una sconosciuta: i referenti regionali erano nominati e non eletti, scelti in base ad appartenenze e presumibili fedeltà; la richiesta di discussione su fatti gravissimi, come il “dimissionamento” di vicepresidenti e di responsabili nazionali di settori decisivi come la scuola e l’uso dei beni confiscati, non è stata accolta, perché considerata frutto di mancanza di fiducia nel capo. Sono stato “sospeso” dal comitato scientifico di “Narcomafie”, organo dell’associazione, per il solo fatto di aver posto il problema. Mi sono dimesso e da allora il Centro non fa più parte di Libera. Abbiamo pagato e continuiamo a pagare con l’isolamento: classico esempio di monopolismo esercitato dal più forte e dal più abile nel creare consenso e relazioni. Anche questo è un esempio di come l’antimafia rispecchi una società in cui dominano la delega al capo e lo spirito gregario.”
D – Augusto Cavadi scrive che la vicenda di Helg sarà inutile se la borghesia di Palermo, della Sicilia, non prenderà atto della sua insufficienza culturale. Parla di una borghesia smidollata. Possibile che dopo tutto quello che è successo sul fronte della mafia che spara e uccide anche suoi esponenti, sembra che nulla o quasi sia successo? Perché la borghesia di Palermo o della Sicilia non riesce a riformare se stessa?
“Non credo che si tratti solo di insufficienza culturale. Da circa cinquant’anni parlo di borghesia mafiosa per indicare due fenomeni tra loro correlati: il ruolo della violenza e dell’illegalità nella formazione dei rapporti di dominio e subalternità e l’importanza decisiva del sistema di rapporti che rende forte la mafia, un sistema transclassista ma con la prevalenza di soggetti sociologicamente classificabili come borghesi: professionisti, imprenditori, rappresentanti della pubblica amministrazione, della politica e delle istituzioni.
In Sicilia la borghesia storicamente si è formata con l’uso di pratiche illegali e in collegamento con i gruppi criminali, decisivi per l’esercizio del controllo sociale sui lavoratori e sugli oppositori al sistema di potere. Negli ultimi anni ci sono stati commercianti e imprenditori che hanno denunciato, professionisti che hanno preso le distanze, ma si tratta di minoranze. E la crisi dell’economia legale spinge chi vuole emergere e avere un ruolo verso l’illegalità. Come si vede, si tratta di spinte strutturali che si coniugano con codici comportamentali solo in parte messi in discussione.
” Resta il fatto che si moltiplicano le denunce degli imprenditori contro i propri estorsori, che affrontano poi il difficile percorso di testimoni di giustizia che nulla c’entra con il loro lavoro e che spesso denunciano un comportamento ambiguo proprio delle associazioni antimafia.
“Lo dicevo già: ci sono fatti positivi, Libero Grassi, che fu isolato dall’associazione degli imprenditori, oggi sarebbe meno solo, ma siamo solo all’inizio di un cammino, che resta lungo e difficile.
” Lei conosce bene la realtà di Cinisi. Peppino Impastato era di Cinisi, così come Santi Palazzolo che ha denunciato Helg. La denuncia dell’imprenditore è il segnale evidente del rifiuto della mafia affaristica, che invece di permeare la borghesia ha finito con l’essere stata acquisita quanto meno dal ceto medio imprenditoriale?
Abbiamo dedicato il Centro siciliano di documentazione, fondato nel 1977, a Peppino Impastato perché è una figura unica nella lotta contro la mafia, al di là dell’icona dei cento passi: figlio di un mafioso e nipote di un capimafia, ha cominciato la lotta contro la mafia a partire da se stesso e dalla sua parentela. Palazzolo ha fatto una scelta importante, denunciando un falso antimafioso che si comportava come un estorsore mafioso. Sulla strada di Libero Grassi negli ultimi anni si sono messi in tanti e bisogna sostenerli con tutti i mezzi. Qui si misura l’associazionismo antiracket attuale: se questi commercianti e imprenditori si lasciano soli, come qualcuno denuncia, sarà una sconfitta, non solo per l’antiracket ma per tutta l’antimafia degna di questo nome.