Lontano dalle luci della ribalta continueremo a opporci quotidianamente contro ogni sopruso e discriminazione, a difesa della verità e della giustizia, come Peppino e Felicia ci hanno insegnato
Ripercorrendo con la mente quest’ultimo mese, ci rendiamo conto di quante cose siano successe.
Dalla lettera di Giovanni Impastato al direttore generale della Rai – una reazione necessaria dopo l’intervista a Salvatore Riina da parte di Bruno Vespa a “Porta a Porta” – all’attesa per il film tv su Felicia, ai giorni intensi, all’insegna dell’impegno e della mobilitazione, del 9 maggio, fino al grande successo di pubblico che la fiction sulla madre di Peppino ha riscosso.
Una visibilità mediatica alla quale non siamo abituati. Ci hanno non solo intervistato, ma anche “osannato”, incitato e, a volte, acclamato come “i salvatori dell’antimafia”.
E siamo stati anche “chiamati in causa” sulla questione Pino Maniaci. Le dichiarazioni di Giovanni Impastato a proposito sono precise e ormai risapute.
Peppino non è imitabile o emulabile. Non si tratta di mito o eroismo. Peppino e Felicia devono essere ricordati perché sono un esempio di non rassegnazione, di attivismo, di forza, di determinazione.
Sono state persone vere e autentiche che non accettavano soprusi, che credevano in un mondo migliore e che hanno lottato, fino alla morte, per la verità e la giustizia.
Non esistono paladini dell’antimafia. L’antimafia è quella che viene dal basso, quella che vive nell’opposizione quotidiana e nelle gambe di tutti quelli che il 9 maggio hanno camminato con noi sulle strade di Terrasini e Cinisi.
Un’antimafia nella quale ci riconosciamo e che cerchiamo di portare avanti con le nostre attività giorno per giorno: la promozione di una memoria che va concretizzata nel presente, il confronto con le nuove generazioni a Casa Memoria e in giro per l’Italia, la battaglia per i diritti negati e il rispetto della dignità umana.
Tanti sono stati gli articoli e i servizi apparsi sui giornali in questi giorni, qui sotto ne riportiamo uno scritto da Attilio Bolzoni su La Repubblica che ci è piaciuto particolarmente.
Le luci della ribalta come si sono accese, si spegneranno. E noi torneremo a lavorare, come siamo soliti, lontano dall’eccessiva visibilità, aldilà delle tante e a volte inutili parole spese. Cercheremo di costruire concretezza per un mondo, che, in questo momento, soffre di mancanza di verità e di garanzia per diritti umani e civili.
Continueremo con le idee di Peppino e Felicia, perché le loro idee sono le nostre idee.
Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato
Da La Repubblica del 12 maggio 2016
Felicia Impastato, una silenziosa ribellione all’indifferenza
Il grande successo della fiction di RaiUno ha riproposto due figure molto lontane dagli eroi di cartone e dai saltimbanchi dell’antimafia da avanspettacolo
di ATTILIO BOLZONI
LA LORO forza è nella semplicità delle loro vite. Soli contro la mafia. Conoscevamo quasi tutto di Peppino e quasi niente di Felicia, ma il tempo riesce sempre a restituire qualcosa a chi lascia certe tracce. Lo straordinario successo della fiction su RaiUno dedicata alla mamma del ragazzo che volevano far passare per terrorista, è il segno di come quarant’anni dopo intorno agli Impastato – figlio e madre – resista un sentimento popolare che difficilmente si perderà anche in quest’Italia che a volte ha paura di ricordare.
Troppo veri i personaggi, sofferti, troppo drammaticamente sopraffatti dagli avvenimenti di quella Sicilia della metà degli anni 70, un mondo avvolto nell’omertà. Come si può dimenticare un ragazzo che in solitudine si è ribellato alla Cupola e agli indifferenti? Come si può smarrire nei labirinti della memoria una madre che ha difeso suo figlio quando era in vita – nel paese dove regnava don Tano Badalamenti, nella sua famiglia con accanto un marito mafioso – e lo ha difeso disperatamente da morto contro voci infamanti e depistaggi sbirreschi. Neanche la retorica più molesta potrà mai appropriarsi degli Impastato di Cinisi. Troppo lontane le loro esistenze dai contemporanei eroi di cartone e dai saltimbanchi di un’antimafia da avanspettacolo, troppo autentici Peppino e Felicia per confonderli con manager o predicatori della legalità. Lui che attaccava la mafia quando nessuno osava nemmeno pronunciare quella parola, lei che si è battuta sino alla fine dei suoi giorni – insieme ai compagni del figlio – per avere giustizia. Ecco perché quasi 7 milioni di italiani, quattro decenni dopo il ritrovamento dei resti del povero Peppino sui binari della linea ferroviaria Trapani-Palermo, si emozionano sempre agli Impastato di Cinisi. Non c’è trucco e non c’è inganno, non c’è stato mai bisogno di un solo spot per costruire intorno a loro miti e leggende. Bastava così com’erano. In questi ultimi giorni qualcuno ha vergognosamente accostato la figura di Peppino a quel Pino Maniaci accusato di estorsione, un urlatore televisivo “contro la mafia” che qualche anno fa ha anche tentato di sporcare la dignità e l’onore della famiglia Impastato. Un paragone che è l’ultima bestemmia di un’antimafia fasulla destinata al suicidio.
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