felicia

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Felicia Bartolotta Impastato Felicia Bartolotta Impastato nasce a Cinisi il 24 maggio del 1915, in una famiglia di piccola borghesia con qualche appezzamento di terreno di proprietà, coltivato ad agrumi e ulivi. Il padre era impiegato al Municipio, la madre casalinga, come sarà anche Felicia. È la primogenita di tre figli, seguono il fratello Matteo e la sorella Fara.

Frequenta la scuola primaria di Cinisi ma arriverà fino alla quarta, non proseguirà gli studi perché ai tempi non c’era in paese una scuola secondaria e bisognava andare in collegio, lei preferì rimanere a casa. Si sposa, nel 1947, con Luigi Impastato, di una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia del paese. Durante il periodo fascista aveva fatto tre anni di confino a Ustica, assieme ad altri mafiosi della zona, e durante la guerra aveva svolto attività di contrabbando di generi alimentari. Dopo non ebbe più problemi con la giustizia. Il cognato di Luigi, Cesare Manzella, marito della sorella, era il capomafia del paese. Manzella muore il 26 aprile 1963, ucciso dall’esplosione di un’auto imbottita di tritolo. Precedentemente Felicia era fidanzata con un giovane, scelto dal padre, come dirà lei stessa: «Prima si stava all’obbedienza… e mi feci fidanzata con uno onesto… ma non lo volevo.Arrivai ad esporre il corredo ma quando dovevo andare a sposarmi dissi: Non lo voglio sposare».

Il 5 gennaio 1948 nasce Giuseppe e l’anno dopo il secondo figlio, Giovanni, che morirà il 9 giugno del 1952 per encefalite. Nel 1953 nasce Giovanni, l’ultimo dei figli. Lei stessa afferma: «Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: “Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre”». Felicia non sopporta l’amicizia del marito con Gaetano Badalamenti, diventato capomafia di Cinisi dopo la morte di Manzella, e litiga con Luigi quando vuole portarla con sé in visita in casa dell’amico. Il contrasto con il marito si acuirà quando Peppino inizierà la sua attività politica. La morte dello zio colpisce profondamente Peppino, che aveva quindici anni e da tempo aveva cominciato a riflettere su quanto gli dicevano il padre e lo zio. Felicia ricorda che le diceva: «Veramente delinquenti sono allora». L’affiatamento con il marito dura molto poco. Per quindici anni, dall’inizio dell’attività di Peppino fino alla morte di Luigi, avvenuta nel settembre del 1977, otto mesi prima dell’assassinio del figlio, la vita di Felicia è una continua lotta, che però non riesce a piegarla. In quegli anni non ha più soltanto il problema delle amicizie del marito. Ora c’è da difendere il figlio che denuncia potenti locali e mafiosi e rompe con il padre, impegnandosi nell’attività politica in formazioni della sinistra assieme a un gruppo di giovani che saranno con lui fino all’ultimo giorno. Felicia difende il figlio contro il marito che lo ha cacciato di casa, ma cerca anche di difendere Peppino da se stesso. Quando viene a sapere che Peppino ha scritto sul giornale ciclostilato «L’idea socialista» un articolo sulla mafia fa di tutto perché non venga pubblicato: «…fece un giornalino e ci mise che la mafia era merda. Quando l’ho saputo io, salgo sopra e vedo… E dissi: “E dài, Giuseppe figlio, io ti do qualunque cosa se ti mi consegni quel giornalino. Tu non lo devi pubblicare quel giornale”…Andavo da tutti… dicendo di non presentare quel giornalino». E quando l’attività politica di Peppino entra nel vivo, non ha il coraggio di andare a ascoltare i suoi comizi, ma intuendo di cosa avrebbe parlato chiede ai suoi compagni di convincerlo a non parlare di mafia. E a lui: «Lasciali andare, questi disgraziati». Dopo la morte di Peppino, davanti ai resti del figlio, decide di rigettare ogni idea di vendetta e si apre al modo di essere del figlio. La sua è una lotta fatta di parole, di richiesta di giustizia, di denuncia, portata avanti con determinazione: «Ogni volta che vengono giornalisti, io parlo di mio figlio perché tutti devono sapere». In questo modo Felicia continua la rivoluzione del figlio. È la seconda donna a costituirsi parte civile in un processo di mafia, dopo Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale riuscendo ad ottenere giustizia e a vedere condannati i mandanti dell’omicidio del figlio. Muore il 7 dicembre del 2004.  

Le citazioni sono tratte da:

Felicia Bartolotta Impastato, con Anna Puglisi e Umberto Santino,

La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1986-2003.

Altre pubblicazioni dedicate a Felicia: Anna Puglisi e Unberto Santino, Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro Impastato, Palermo 2005, 2007 Anna Puglisi, Felicia Bartolotta Impastato, scheda per www.enciclopediadelledonne.it Gabriella Ebano, Felicia e le sue sorelle, Ediesse, Roma 2005. Nando Dalla Chiesa, Sono la madre di Peppino Impastato, in Le ribelli, Melampo,Milano 2006, pp. 39-60.

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