Arrivai alla politica nel lontano novembre del ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare divenuta ormai insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto con connotati tipici di una società tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, fin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte ed il suo codice comportamentale. _ riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva ed a compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività. Approdai nel PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuol rompere tutto e cerca protezione.
Creammo un forte nucleo giovanile, fondammo un giornale ed un movimento d’opinione, finimmo in tribunale e su tutti i giornali. Lasciai il PSIUP due anni dopo, quando d’autorità fu sciolta la Federazione Giovanile (erano i tempi della Rivoluzione Culturale e della morte del “Che”)… Il ’68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l’adesione, ancora una volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti (la Lega). Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. È stato anche un periodo delle dispute sul Partito e sulla concezione e costruzione del Partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico.
Alla fine di quell’anno l’adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario del PCD’I (m-l): il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione), è stato molto forte (…) Passavo con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a testimoniarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal Partito. Fui anche trasferito in un altro posto a svolgere attività politica, ma non riuscii a resistere più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un po’ di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai. E tutto questo stato di cose perdurò fino al ’71, quando “decisi” di fuoriuscire dalle condizioni in cui mi dibattevo e dalla politica. Mi innamorai follemente di una ragazza, ma riuscii a costruire soltanto un rapporto lunghissimo e schizofrenico, incomprensibile, kafkiano addirittura. Il risultato: ne uscii con le ossa rotte e ancora più incapace di rapporti col mondo esterno. Mi trascinai in seguito, per qualche mese, in preda all’alcool, sino alla primavera del ’72 (assassinio di Feltrinelli e campagna per le elezioni politiche anticipate). Aderii, con l’entusiasmo che mi ha sempre caratterizzato, alla proposta politica del gruppo del ‘‘Manifesto’’: sentivo il bisogno di garanzie istituzionali, mi beccai soltanto la cocente delusione della sconfitta elettorale. Furono mesi di confusione e disimpegno: mi trovavo di fatto fuori dalla politica. Autunno ’72. Inizia la sua attività il Circolo Ottobre a Palermo, vi aderisco e do il mio contributo. Mi avvicino a “Lotta Continua” e al suo processo di revisione critica delle precedenti posizioni spontaneistiche, particolarmente in rapporto ai consigli: una problematica che mi aveva particolarmente affascinato nelle tesi del “Manifesto”. Conosco Mauro Rostagno: è un episodio centrale nella mia vita degli ultimi anni. Aderisco a “Lotta Continua” nell’estate del ’73, partecipo a quasi tutte le riunioni di “scuola-quadri” dell’organizzazione, stringo sempre più i rapporti con Rostagno: rappresenta per me un compagno che mi dà garanzia e sicurezza: comincio ad aprirmi alle sue posizioni libertarie, mi avvicino alla problematica renudista. Si riparte con l’iniziativa politica a Cinisi, si apre una sede e si dà luogo a quella meravigliosa, anche se molto parziale, esperienza di organizzazione degli edili. L’inverno è freddo ma tranquillo, la mia disperazione è tiepida. Parto militare: è quel periodo, peraltro molto breve, il termometro del mio stato emozionale: vivo 110 giorni in continuo stato di angoscia ed in preda alla più incredibile mania di persecuzione. Per la prima volta penso seriamente al suicidio. Mi congedo, tra una convalescenza e l’altra, nella primavera del ’75. (Il testo completo dell’autobiografia di Peppino nel volume Lunga è la notte, pubblicato dal Centro Impastato.)
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