Giovanni Impastato è stato presente all’XI edizione di “Florinas in Giallo – L’isola dei misteri”, ha conversato con il giornalista Gianni Garrucciu. Ecco la sintesi del suo intervento.
C’è una tradizione di romanzi gialli a cui sono molto legato che ha il merito di suscitare la riflessione su un sistema politico e sociale degradato, con lo scopo di arrivare alla verità, di penetrare in profondità nell’animo umano e di svelare gli ingranaggi del potere e della società. Non si possono non citare, per quanto riguarda la Sicilia, Sciascia e Camilleri, che nei loro polizieschi hanno trattato l’argomento della mafia, ma anche dello Stato e delle loro collusioni.
Sciascia era un grande appassionato di gialli, prima come lettore e poi come scrittore. Riteneva che i grandi giallisti avessero avuto la capacità di trasformare in arte la cronaca quotidiana e di analizzare la società in profondità. Come scrittore si poneva il compito morale di essere un testimone di verità contro le menzogne. I suoi gialli non hanno facili soluzioni, perché la verità non è semplice e per arrivare alla giustizia, quella giustizia spesso tradita, non c’è una strada facile, e questo lo sappiamo bene. In questo caso il giallo diventa un vero e proprio strumento di denuncia politica, utile non solo a smascherare le azioni dei criminali, ma anche i depistaggi, gli inquinamenti di prove, gli insabbiamenti, i poteri deviati, la corruzione, le ramificazioni della criminalità all’interno di sistemi che dovrebbero essere sani ed invece purtroppo non lo sono. E’ “letteratura”, ma non c’è invenzione, Sciascia, ricorrendo al giallo, scrive romanzi realisti e d’inchiesta riuscendo anche a penetrare in profondità nell’animo umano, diventa lui stesso un investigatore capace di far comprendere il contesto da cui poi poteva svilupparsi un fatto criminale, e da buon conoscitore della società e della psicologia umana, è riuscito anche a “prevedere” fatti non ancora accaduti, come in “Todo modo” dove sembra anticipare la morte di Aldo Moro. Nei romanzi di Sciascia il problema della giustizia tradita, è un problema etico, il detective sciasciano è da solo contro un delinquente, ma anche contro una rete sociale di complicità, è spinto da ideali e dal bisogno di trovare la verità ed è destinato alla sconfitta, perché non sempre la verità coincide con la giustizia ed anche se l’investigatore individua il colpevole, non sempre questo verrà punito, perché lo Stato non è in grado di garantire l’applicazione della legge e le Istituzioni (politica, tribunali, polizia) sono contagiate dalla criminalità. In romanzi come Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Il contesto, etc Sciascia descrive la cultura siciliana, in modo molto critico e crudo, non è disprezzo per la Sicilia, anzi, è l’amore di quei siciliani che non temono di aprire gli occhi e di lottare contro ciò che non va. Sciascia parla di mafia, la sua consapevolezza e la non negazione dell’esistenza della mafia, concepita come un’associazione a delinquere che si impone con violenza sul popolo e si arricchisce da parassita, si contrappone alla falsità e pericolosità di quei rappresentanti politici siciliani che negano l’esistenza del fenomeno mafioso. Sciascia era anche consapevole che le pratiche mafiose si diffondessero fuori dai confini regionali, già nel 1961, ne Il giorno della civetta, usando la metafora della “linea della palma”, spiegava infatti che l’Italia si stava sicilianizzando.
E se parliamo di giallo non possiamo non parlare di Andrea Camilleri che ha rinnovato il giallo in questi ultimi anni ed ha ottenuto un grandissimo successo con Montalbano. Camilleri, lo ha spesso affermato nelle sue interviste, che doveva molto a Sciascia ed anche a Simenon ed al suo Maigret. Camilleri ha raccontato la Sicilia ed i siciliani, la condizione di vita degli isolani, il loro modo di comportarsi e di pensare. La società che descrive vede il divario tra quegli avvocati, politici, medici, mafiosi che vivevano in una condizione di ricchezza e potere ed il popolo con le difficoltà quotidiane e la povertà, costretto a piegarsi e adattarsi, così facendo fa riflettere sulla sicilianitá, e su quella rassegnazione di fronte alla violenza, alle ingiustizie e alle menzogne della storia. Se si sopravvive è solo grazie all’ironia e con ironia e leggerezza Camilleri ha dimostrato che il giallo può essere uno strumento per interrogarsi sulla vita e sulla condizione umana, sulla morale e sulla lotta tra bene e male; Montalbano ad esempio è un investigatore spinto da principi etici inviolabili e mai rassegnato. Nei gialli di Camilleri la mafia fa da sfondo, Camilleri non rende protagonista il mafioso, forse per non alimentarne il mito, però la mafia è una presenza quasi costante nella vita quotidiana dei siciliani e chi sceglie di stare dalla parte del bene, oltre a doversi scontrare con l’organizzazione criminale, si deve scontrare con la mafiosità, quella sottocultura che alimenta un modo di pensare e di giustificare tutto e quindi rende difficile prendere coscienza e reagire. Il poliziotto Montalbano si trova costretto ad avere contatti con i capomafia, ma senza mai travalicare le regole e rispettando la legge dello Stato, perché lo Stato non può combattere la mafia con i metodi della mafia.
Anche Gramsci sappiamo che era un grande lettore di gialli, perché per lui i gialli erano parte integrante di una letteratura popolare che ha la capacità di raccontare la società e la complessità del potere, intrecciandosi con la passione politica e con la deduzione e l’introspezione; questi celebri scrittori affrontando temi così importanti, con uno strumento popolare, il romanzo poliziesco, ci hanno insegnato, ed hanno insegnato al vasto pubblico di lettori, come guardare la società in cui viviamo, come interpretare il potere e le collusioni, e comprendere una società in cui il potere della mafia e quello dello Stato si sono spesso intrecciati, una realtà dove ancora permangono tanti misteri, dove non sempre si è riusciti ad ottenere verità e giustizia per i tanti che sono morti per lottare contro la mafia e che, mentre venivano colpiti da questa, subivano anche l’attacco di chi avrebbe dovuto proteggerli. Perché la questione principale è il potere ed il suo essere oppressivo; Sciascia ad esempio, parlando dell’esperienza del prefetto Mori, durante il periodo fascista, disapprovava la sua azione fondata sulla sospensione delle garanzie costituzionali in Sicilia, lo Stato non può usare infatti metodi antidemocratici, non deve colpire la popolazione già vessata dalla mafia e non deve colpire chi lotta per i diritti degli oppressi. Ma la storia, dai fasci Siciliani, a Portella della Ginestra, a Peppino Impastato, dimostra come spesso è avvenuto il contrario. Questo racconta la nostra storia, la storia di Peppino ucciso dalla mafia e colpito tramite il depistaggio anche da uno Stato che temeva la sua lotta dal basso.