Articolo tratto da Cinisi Online Di Alice Iacopelli – 10 marzo 2015
Cinisi, 7 marzo 2015. Presso la ex casa Badalamenti, Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato ha avuto l’onore di ospitare Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli Cervi, fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943 dai fascisti durante la Resistenza italiana.
Adelmo Cervi Proprio a distanza di 70 anni dalla liberazione dell’Italia si è infatti deciso di ospitare Adelmo per poter diffondere e far conoscere anche a Cinisi la sua testimonianza.
Durante l’incontro, moderato da Salvo Ruvolo, in seguito alla proiezione di un video, Adelmo Cervi ha parlato della propria famiglia, della vita e delle lotte di quei celebri sette fratelli che hanno lottato per liberare l’Italia dalle camicie nere. Ha parlato di loro mettendo insieme i frammenti dei racconti che ha ascoltato dai nonni, dalle zie, dalla madre, poiché non ha potuto neanche conoscere questi uomini; aveva soltanto quattro mesi di vita quando il padre è stato ucciso. A crescerlo ci ha pensato il nonno Alcide Cervi, autore del libro “I miei sette figli”, uno dei documenti più preziosi che testimonia il periodo durissimo dell’opposizione alla dittatura fascista.
E’ la storia di semplici contadini che hanno combattuto per eliminare le ingiustizie subite, che non si sono arresi dinanzi alle intimidazioni dei fascisti ma che anzi sono andati fino in fondo sacrificando la propria vita per questo Paese. Questi giovani hanno vissuto in una famiglia comunista ma anche profondamente cattolica, una famiglia che ha rappresentato, insieme a molte altre, spesso sconosciute, la lotta antifascista nell’ Emilia Romagna.
Adelmo racconta di suo padre e dei suoi zii che creavano nuclei clandestini di compagni e conservavano nelle biblioteche testi comunisti che, per evitare di essere scoperti, venivano inseriti all’interno di libri fascisti. La loro è stata una vita completamente dedicata alla lotta per la liberazione e la loro abitazione un asilo e un porto sicuro per i perseguitati dai nazifascisti.
Storie come questa ricordano che l’Italia unita esiste grazie a gente semplice come i Cervi che non si è arresa neanche davanti al rischio di perdere la propria vita, pur di perseguire gli ideali di giustizia e libertà. I fratelli sono considerati, da chi conosce la loro vicenda, degli eroi. “I miti e gli eroi non mi interessano” risponde però Adelmo che ha paura della sterile mitizzazione che intrappola nel passato le esperienze singolari rendendole anormali senza stimolare e incitare gli altri a seguirne l’esempio. La storia del padre e degli zii per Adelmo Cervi non deve essere considerata infatti una storia di miti ma piuttosto una battaglia secolare per far trionfare la giustizia.
“Uno di loro era mio padre, Aldo. Lui voleva solo cambiare il mondo. Poca cosa, vero? E aveva convinto gli altri, insieme che era giusto cambiarlo. E se anche qualcuno lo voleva meno degli altri, al momento giusto non si è tirato indietro e ha fatto la sua parte fino alla fine […] Volevano lottare per sconfiggere l’ingiustizia. È una lotta che sembra eterna, nata insieme all’uomo e che forse finirà quando finirà l’uomo. Una lotta cominciata la prima volta che un essere umano ha detto “no” per ribellarsi a un’imposizione, al comando di un potente, re, principe o capotribù che fosse” si legge nel libro scritto nel 2014 da Adelmo Cervi in collaborazione con Giovanni Zucca, Io che conosco il tuo cuore.
Il libro permette di ripercorrere la storia collettiva ma soprattutto l’esistenza di Aldo dal punto di vista di un figlio a cui non è stato concesso di godere dell’amore di un padre. Proprio per questa ragione Adelmo Cervi ha deciso di girare tutta Italia per far conoscere l’esperienza della propria famiglia agli studenti e a tutti gli altri cittadini, perché il sacrificio di Aldo e dei suoi sei fratelli non sia stato vano.
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