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Il fratello Giovanni: “Rendere fruibile la casa in cui fu ucciso. Da Crocetta per ora solo promesse”

Trentasette anni dopo la città di Cinisi non è sola a ricordare ed onorare la memoria di Peppino Impastato. Un fiume di giovani, cittadini, rappresentanti del mondo dell’associazionismo antimafia e delle istituzioni si sono raccolte sotto la sede di Radio Aut, a Terrasini, a urlare che quella lotta rappresentata da quei “cento passi” che dividono la casa di Peppino con l’ex casa del boss Gaetano Badalamenti, non si è interrotta.

La mafia non è stata ancora sconfitta e le battaglie da condurre sono ancora tante, a cominciare dal riappropriarsi di quel casolare in contrada Feudo, dove l’attivista è stato barbaramente ucciso. “Sono state raccolte firme ma dopo tante promesse ancora non abbiamo visto passi avanti significativi – urla dal balcone di Casa Memoria Giovanni Impastato – Quello stabile, inserito nel circuito dei luoghi della memoria, in questo momento è in stato di abbandono e di degrado.

E’ un grave problema da risolvere. Considero un crimine il fatto che migliaia di studenti che vengono a Cinisi non abbiano la possibilità di visitare il luogo dove Peppino è stato ucciso. E’ un crimine contro la memoria del nostro Paese. Il proprietario può avere i suoi motivi e negli anni scorsi il Presidente Crocetta ha consegnato un decreto, ma di questo non abbiamo saputo più nulla. Da questo si evince che da parte di Crocetta vi sono solo promesse”. Poi ha continuato: “Credo che oggi bisogna praticare la disobbedienza civile e ribellarsi contro l’ingiustizia.

Anche questa è legalità. Una battaglia che abbiamo iniziato con il centro siciliano di documentazione di Umberto Santino, con i compagni di Peppino e con la famiglia Impastato”. “Tra queste battaglie – ha continuato – c’è anche la denuncia contro il presidente della Camera di Commercio Helg. C’è voluto il coraggio di Santi Palazzolo, imprenditore di Cinisi.

Che Paese è quello in cui una persona, responsabile del fallimento di tre attività, viene messo a dirigere la Presidenza della Camera di Commercio? E’ questo che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni, il concetto di legalità come rispetto della dignità umana più delle leggi”. Anche per questo motivo, nella tre giorni di manifestazioni, ampio spazio hanno trovato le attività di associazioni come i “No muos”, “No Tav” e poi ancora tanti giovani scout e delle scuole. Arte, musica e cultura hanno trovato spazio, così come il dibattito su un tema importante, quello sulla trattativa Stato-mafia, grazie al film di Sabina Guzzanti “#La Trattativa”. Dal balcone di Casa Memoria, dove si percepisce ancora la presenza di mamma Felicia, è poi intervenuto anche Renato Accorinti, uno dei tanti sindaci intervenuti all’evento: “Oggi è una giornata speciale. Venire qui per ricordare Peppino è la dimostrazione che lui cammina sui nostri passi e sulle nostre azioni. Questo deve essere giorno per giorno, deve esserci grande resistenza. Il percorso per un mondo nuovo è duro e lungo e non fa paura”. “La lotta – ha aggiunto – deve procurare una gioia infinita e lottare per un mondo migliore è l’atto spirituale che cambia la cultura di un popolo”. Nel suo intervento, oltre a ricordare Peppino Impastato, a cui ha dedicato la stanza del sindaco di Messina, ha anche ribadito l’importanza della scuola, del ruolo degli insegnanti nel creare “non un pensiero unico ma un pensiero critico affinché ognuno possa pensare con la propria testa e la propria coscienza.

Per questo dobbiamo lottare. Nei giorni scorsi abbiamo visto anche a Messina il film della Guzzanti su questa trattativa che non ci fa dormire bene, perché dobbiamo sapere cosa c’è dietro a quel rapporto tra Stato e mafia. Dobbiamo sapere che Nino Di Matteo sta lottando e si sente isolato dalle istituzioni e noi dopo domani daremo a lui la cittadinanza onoraria e non lo faremo tra quattro mura ma in piazza”. Particolarmente accorato anche l’intervento del sindaco di Cinisi Giangiacomo Palazzolo che ha confermato l’intenzione di “depennare la via della città dedicata a Salvatore Badalamenti, fratello di Gaetano”. “A me – ha detto – non interessa se era un partigiano o non lo era, ma dico no alla metodologia che fu applicata negli anni sessanta, di accondiscendenza rispetto alla famiglia Badalamenti.

L’intestazione di una strada è come una pagina di un libro e non posso accettare che chi viene qui si trovi a leggere una pagina di storia che non appartiene più a questo paese. A chi mi dice che sono passati settant’anni dico che ne sono passati troppi e che Salvatore Badalamenti non era morto da partigiano ma è deceduto di morte naturale”.

Articolo tratto da Antimafia Duemila.

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